La patologia tiroidea in gravidanza rappresenta un importante problema clinico per la prevalente diffusione delle disfunzioni tiroidee nel sesso femminile, il suo frequente misconoscimento, i potenziali effetti sul feto e sul neonato e una certa tendenza al sovra o sotto-trattamento.
La prevalenza delle disfunzioni tiroidee in gravidanza varia dallo 0,2% dell'ipertiroidismo, al 2-3% dell'ipotiroidismo, al 4-5% per i noduli tiroidei.
Le donne che programmano una gravidanza dovrebbero eseguire lo screening tiroideo prima o, comunque, all'inizio della gestazione, mediante il dosaggio del TSH, degli anticorpi anti-tireoglobulina ed anti-tireoperossidasi ed eventualmente della quota libera di T3 e T4. In tal modo, grazie alle appropriate terapie farmacologiche, le donne affette da alterazioni della tiroide potranno vivere la propria gravidanza con serenità, scongiurando il rischio di effetti avversi per il feto.
Ipertiroidismo e gravidanza
Le pazienti ipertiroidee possono avere una gravidanza?
Non esiste controindicazione ad iniziare una gravidanza per le pazienti ipertiroidee, anche se sono in terapia farmacologica. E’ però necessario attuare quelle misure che consentono di ridurre al minimo il rischio di ipotiroidismo e gozzo neonatale.
Le pazienti ipertiroidee non curate possono avere difficoltà al concepimento ed hanno un aumentato rischio di aborto spontaneo; se trattate efficacemente può essere ripristinata una fertilità normale.
Come molte malattie autoimmuni, anche il morbo di Graves-Basedow (la forma più comune di ipertiroidismo nella giovane età) risente positivamente della gravidanza: frequentemente, il dosaggio dei farmaci necessario per controllare la malattia si riduce con il procedere della gravidanza. Spesso, però, la malattia si riacutizza dopo il parto.
Che effetti ha l’ipertiroidismo sul bambino?
Nel sangue di pazienti con il morbo di Basedow sono presenti anticorpi stimolanti per la tiroide, con secrezione di quantità eccessive di ormoni tiroidei e conseguente ipertiroidismo. Questi anticorpi possono arrivare alla tiroide fetale attraverso la circolazione del sangue, provocando ipertiroidismo anche nel feto e nel neonato. Qualora si sospetti ipertiroidismo fetale, questo può essere efficacemente curato somministrando farmaci antitiroidei alla madre. L’ipertiroidismo nel neonato si verifica solo nell’1% dei casi, di solito è transitorio (il bambino non produce gli anticorpi, li ha solo ricevuti dalla madre, e quindi scompaiono in alcune settimane) e quasi mai richiede terapia specifica.
Si possono assumere farmaci per l’ipertiroidismo in gravidanza? Che rischi comportano?
I farmaci utilizzati per la cura dell’ipertiroidismo (metimazolo e propiltiouracile) sono in grado di attraversare la barriera feto-placentare e di arrivare al sangue del feto. Il propiltiouracile arriva al feto in percentuale minore rispetto al metimazolo, ma complessivamente gli effetti dei due farmaci sul feto sono paragonabili. Questi consistono soprattutto nel blocco della tiroide fetale con conseguente ipotiroidismo e gozzo (aumento di volume della tiroide). Ciò deve essere evitato, perché può essere causa di insufficiente sviluppo psicofisico nel bambino. Inoltre, il gozzo potrebbe causare difficoltà respiratorie dopo la nascita.
D’altro canto, la terapia dell’ipertiroidismo nella donna in gravidanza è necessaria perché questa malattia, se non trattata, può provocare ridotto accrescimento fetale, crisi tireotossiche nella madre, gestosi, parto pretermine.
Come si cura l’ipertiroidismo in gravidanza?
Il criterio guida da osservare per la cura dell’ipertiroidismo in gravidanza è di utilizzare le dosi minime possibili di farmaci, mantenendo la fT4 ai limiti della norma o anche leggermente superiore alla norma. In tal modo, e controllando i parametri di funzione tiroidea ogni 3-4 settimane, il rischio di ipotiroidismo neonatale è basso.
La terapia dell’ipertiroidismo prevede l’utilizzo di farmaci detti antitiroidei che riducono gli ormoni tiroidei circolanti in eccesso così da bloccare i loro effetti nocivi sia sulla madre sia sul bambino. Il più noto ed utilizzato è il metimazolo, ma, durante la gravidanza e soprattutto nel primo trimestre, è preferibile usare il propiltiouracile perché gli eventuali danni fetali indotti da questo farmaco sono più lievi rispetto a quelli associati con il metimazolo.
Si possono assumere farmaci per l’ipertiroidismo durante l’allattamento?
I farmaci per l’ipertiroidismo si ritrovano nel latte materno e vengono quindi assunti dal bambino. Pertanto, non possono essere assunti durante l’allattamento. Se le condizioni cliniche della madre richiedono assolutamente terapia antitiroidea, l’allattamento al seno deve essere sospeso. L'allattamento può essere mantenuto senza pericolo se la dose di farmaco richiesta dalla madre è modesta.
C’è rapporto fra ipertiroidismo e iperemesi gravidica?
La iperemesi gravidica è una condizione di frequente riscontro che nella maggior parte dei casi non ha cause definite. Talvolta, l’ipertiroidismo può essere la causa di questo problema: pertanto, la funzione tiroidea deve essere controllata in tutte le pazienti con iperemesi.
Ipotiroidismo e gravidanza
L’ipotiroidismo rende impossibile la gravidanza?
Anche le pazienti affette da ipotiroidismo possono avere normale concepimento e gravidanza. Tuttavia, le gestanti ipotiroidee hanno un aumentato rischio di ipertensione arteriosa, preeclampsia ed eclampsia. Questo rischio viene normalizzato con la istituzione di una adeguata terapia con tiroxina.
Come si cura l’ipotiroidismo in gravidanza?
Nella maggior parte dei casi, la dose della tiroxina richiede di essere aumentata. E’ necessaria una maggiore frequenza dei controlli dei livelli ormonali e del TSH con eventuali successive modificazioni posologiche. Se la terapia viene condotta adeguatamente, la gravidanza procede regolarmente e l’ipotiroidismo non avrà conseguenze sullo sviluppo e la crescita del feto.
Gozzo e noduli tiroidei benigni in gravidanza
Che effetti ha la gravidanza sul gozzo?
La gravidanza è talvolta associata a comparsa di gozzo, ad aumento di volume di un gozzo preesistente e all’aumento di volume dei noduli tiroidei. A volte è proprio durante la gravidanza che la paziente si accorge di essere portatrice di gozzo e noduli tiroidei. Queste evenienze sono più frequenti in aree geografiche povere di iodio.
Si può prevenire il gozzo in gravidanza?
Per prevenire l’effetto gozzigeno della gravidanza viene raccomandata la assunzione per via orale di sale iodato. Può anche essere proseguita, se già in corso, o iniziata terapia con tiroxina, con attenzione alle dosi impiegate.
Che esami si fanno per il gozzo in gravidanza?
Qualora un aumento volumetrico della tiroide si manifestasse nel corso della gravidanza, questo deve essere sottoposto alla normale procedura diagnostica (ecografia, agoaspirazione, TSH, ormoni tiroidei liberi) per accertarne la natura.
Tumore tiroideo e gravidanza
Chi ha avuto un tumore tiroideo può affrontare una gravidanza?
Le pazienti operate e trattate successivamente con radioiodio per neoplasia tiroidea possono avere gravidanze. Non è stato definito un intervallo di tempo fisso che debba intercorrere tra la terapia con radioiodio e l’inizio della gravidanza. Normalmente, si consiglia che intercorrano almeno 12 mesi, durante i quali devono essere adottati sicuri metodi contraccettivi.
Tumore tiroideo diagnosticato nel corso di una gravidanza. Come comportarsi?
E’ una eventualità rara, ma possibile. L’orientamento generale è che l’intervento chirurgico può essere differito fino al termine della gravidanza senza compromettere la sicurezza della paziente. Tuttavia, se la gravidanza è all’inizio o se è il tumore presenta caratteristiche di aggressività, è possibile effettuare l’intervento durante il secondo trimestre di gravidanza. Si istituisce poi terapia con tiroxina a dosi soppressive, rimandando la somministrazione di radioiodio al termine della gravidanza.
Radioiodio e gravidanza
La assunzione di radioiodio è controindicata sia durante la gravidanza che durante l’allattamento. Durante la gravidanza la terapia con tiroxina deve naturalmente essere proseguita, mentre vanno evitate le procedure diagnostiche che impiegano isotopi radioattivi.
Disturbi tiroidei nel post-partum
E’ vero che dopo il parto aumenta il rischio di malattie tiroidee?
Nei sei-dodici mesi successivi al parto si possono verificare vari disturbi tiroidei, definiti complessivamente "disfunzione tiroidea del post-partum". Sono generalmente di natura autoimmune, e si possono verificare sia in donne con malattie tiroidee già presenti prima o durante la gravidanza che in pazienti con tiroide fino a quel momento sana.
La disfunzione tiroidea post-partum è più frequente nelle pazienti con positività degli anticorpi anti-perossidasi. La disfunzione tiroidea post-partum può comportare ipertiroidismo nel 20% dei casi, ipotiroidismo (50 %) o anche ipertiroidismo seguito da ipotiroidismo (30%).
Secondo alcuni studi, la depressione del post-partum sarebbe più frequente nelle donne con disfunzione tiroidea, anche se non è stato stabilito un legame causale fra i due fenomeni.
Come si curano le malattie tiroidee del post-partum?
La disfunzione tiroidea post-partum ha carattere generalmente transitorio e richiede terapia specifica solo nei casi più severi; spesso è sufficiente la terapia sintomatica. La durata media della malattia è di alcuni mesi. Tuttavia, talvolta il disturbo si stabilizza, e diventa cronico. La diagnosi si basa sui livelli ematici degli ormoni tiroidei liberi, del TSH e degli anticorpi anti-perossidasi; questi test devono essere eseguiti a tutte coloro che abbiano sintomatologia clinica sospetta, ed in particolare a chi già presenta una positività autoanticorpale.